mercoledì 12 giugno 2019

Conclusioni


Copertina del libro
Nel libro "Il  senso delle cose" di Richard Feynman, viene esposta la visione del fisico, nonchè autore del testo, su l'importanza del dubbio in relazione al  progresso della scienza.
Da qui abbiamo voluto approfondire il ruolo che svolge il valore sia nel campo scientifico, come avviene nella misura (sistema internazionale) e nella relatività (teoria di Einstein), sia in campo etico.

La nostra ricerca ha voluto soffermarsi, non solo sugli argomenti principali ed i temi centrali del libro, ma anche sulle varie relazioni ed interconnessioni che legano le tematiche stesse.

Richard Feynman

I principali link, come evidenziato dalla mappa concettuale, sono:
Tuttavia, ci è sembrato opportuno studiare altri concetti chiave legati al valore quali la filosofia dei valori ed il ruolo del valore nel pensiero occidentale.

The importance of value


Mappa concettuale


Dubbio  

Teoria della relatività


Albert Einstein
La teoria della relatività formulata da Albert Einstein, prima nella sua versione ristretta e poi in quella generale, ha modificato profondamente la teoria della relatività galileiana e ha cambiato il nostro concetto di tempo e di spazio. Per quanto sorprendenti, le previsioni di Einstein hanno ottenuto numerose conferme. Sempre alla relatività dobbiamo l’equazione più famosa della fisica: E = mc2

Nell’articolo del 1905, in cui Albert Einstein espone i fondamenti della relatività ristretta, fa la sua prima comparsa anche la sopra citata formula, destinata a diventare l’equazione per eccellenza della fisica. Essa stabilisce che se un corpo emette un’energia E sotto forma di radiazione, la sua massa m diminuisce di una quantità E /c2, quindi massa ed energia possono trasformarsi l’una nell’altra. Questo avviene per esempio nei decadimenti radioattivi o nelle reazioni nucleari. L’equazione E = mc2 dice anche che una piccolissima massa può trasformarsi in una enorme quantità di energia, perché il fattore c2 vale 9 x 1016. Per esempio, così si spiega perché una stella possa splendere per miliardi di anni trasformando, attraverso le reazioni nucleari, una piccolissima parte della sua massa in un’enorme quantità di energia.

La filosofia dei valori

Si tratta di un ampio movimento filosofico che, opponendosi al materialismo positivistico e al nichilismo nietzschiano e rifacendosi alla rinascita del Kantismo nella seconda metà del XIX secolo, affronta il problema dei valori morali intesi come convalidati dalla loro universalità e da quella metafisica ispirata da Kant. 

Preside Kant
Secondo la filosofia morale di Kant, le azioni quali mentire non erano permesse perchè non le si poteva "universalizzare" coerentemente. Se tutti mentissero costantemente, verrebbe minato il concetto fondamentale della menzogna, dal momento che nessuno crederebbe a nulla di quello che qualcun altro ha detto, facendo perdere lo scopo del mentire.
Inoltre, Kant riteneva che per poter ritenere un'azione morale, essa dovesse essere compiuta al di fuori di ogni senso del dovere. Per un pompiere, salvare una persona da un edificio in fiamme, non è un atto eroico o morale, secondo Kant, si  tratta solo di senso del dovere e responsabilità.

Kant considerava valida l'universalità filosofica dei valori, non come premessa, ma come postulato della morale: essa così esercitava un primato rispetto alla ragion pura: «dal valore all'essere, non già dall'essere al valore.»
Alla base dei postulati della ragion pratica kantiana, infatti, non vi è un "so" ma un "voglio": «voglio che esista Dio, voglio che la mia esistenza in questo mondo sia anche un'esistenza nel mondo intelligibile, voglio che la mia durata sia senza fine.»
Se i postulati, quindi, non potranno mai assumere il valore di un vero e proprio sapere, nello stesso tempo, però, nessun progresso scientifico potrà mai metterli in dubbio; anzi è proprio la loro insostenibilità razionale che darà valore all'azione morale. La scienza e il mondo naturale trovano quindi il loro significato non in se stessi ma solo se riferiti a una metafisica morale.
Per la filosofia dei valori l'essere allora si identifica con il valore: «Esiste veramente quello che vale; quello che non vale non è o quanto meno tende a non essere.».

Contrapponendosi alle tesi dei neokantiani Max Weber (1864–1920) rifiutò l'idea che i valori avessero un qualche significato metafisico mentre possedevano una "trascendenza normativa" nel senso che essi costituiscono i punti di riferimento di ogni concreta azione storica. Quando però i valori si concretizzano storicamente nello stesso tempo appaiono i loro conflitti interni per cui non possono essere assunti come sicuramente validi e l'uomo è costretto a una scelta che li riporta alla problematicità e al condizionamento storico.

Con Martin Heidegger (1889–1976), infine, si è voluta dissolvere ogni filosofia dei valori in nome della nietzschiana svalutazione e fine di tutti i valori che però si presenta come una concezione contraddittoria quando Nietzsche stesso auspica metafisicamente una "trasmutazione di tutti i valori" e la creazione di nuove «tavole di valori».

(fumetto da existential comics)

Il "valore" nel pensiero occidentale

 
Valore economico e valore materiale
Il cristianesimo ha notevolmente sviluppato il concetto di "persona", introducendo, per così dire, il valore della responsabilità personale, l'idea di libera scelta, il primato della coscienza...
Prima del cristianesimo era considerato "persona" solo l'individuo che disponeva di un certo potere o che ricopriva un qualche ruolo ufficialmente riconosciuto. Non si era "persona in sé", a prescindere da tutto, ma soltanto in rapporto a qualcosa di estrinseco. Il valore di una persona era dato da qualcosa di "esterno", che l'individuo doveva "possedere" per essere considerato qualcuno.
Nel mondo romano occorreva almeno lo status di cittadino libero: cosa che distingueva il romano dallo straniero, il libero dallo schiavo. Poi naturalmente vi erano i ruoli politici, sociali, culturali, religiosi.
Fra i cittadini liberi, l'uomo era più "persona" della donna, e il vecchio più del giovane.
I guai sono venuti quando il cristianesimo, nella forma storica del cattolicesimo-romano, ha rinunciato politicamente alla prassi comunitaria, trasformando il ruolo del pontefice in una monarchia teocratica assoluta. La conseguenza è stata la trasformazione del valore della persona in un concetto meramente astratto, oggetto di speculazione filosofica, cui appellarsi soprattutto quando la prassi individualistica comportava degli eccessi pericolosi. 
Nel momento stesso in cui la contraddizione fra politica autoritaria e collettivismo più o meno democratico è giunta al culmine della tollerabilità, è nato il protestantesimo, che ha legittimato l'individualismo anche sul piano sociale. Ed è stato così che è poi nato il capitalismo.
Questa maschera non è stata necessaria nei paesi extra-europei, dove, anche se sul piano pratico l'esigenza comunitaria si manifestava con un certo vigore, non si era ancora arrivati, in mancanza della profondità del cristianesimo, a elaborare un'ideologia del valore assoluto della persona. L'individuo veniva semplicemente considerato come una parte del tutto e mai, in nessun caso, come un elemento che, in virtù della propria consapevolezza di sé, poteva porsi al di sopra dei limiti comunitari e naturali.
Ciascuno dei criteri sulla base dei quali un individuo o una collettività stabilisce quali idee, comportamenti, fini o mezzi sono giudicati giusti e perseguibili e quali ingiusti. I valori, perciò, influenzano le norme sociali, ma si differenziano da esse per il carattere puramente astratto. Questo approccio ignora però i conflitti di valori che interessano numerose società, anche nella forma del mutamento culturale (come nel caso dei valori postmaterialistici dei principali Paesi occidentali), esaspera il carattere normativo dei valori stessi e trascura i condizionamenti della struttura sociale (il riferimento ai valori è spesso un potente strumento di controllo sociale).

Scienza

Topolino in camice da scienziato: gli eroi Disney sono i protagonisti degli albi di «Scienza papera»

Espressione con la quale comunemente si indica l’ambito della ricerca filosofica che ha per oggetto la riflessione critica sulla natura, le metodologie e le implicazioni culturali, politiche, morali, religiose, ecc. delle diverse discipline scientifiche. In quanto indagine sulla natura e sui limiti del metodo scientifico, la filosofia della scienza trova le sue origini nel pensiero greco: in primo luogo nella determinazione logico-ontologica operata da Platone dei caratteri rispettivi dell’ἐπιστήμη e della τέχνη, contrapposte alla δόξα, e nel confronto da egli istituito tra la dialettica e le procedure epistemiche proprie della matematica e della medicina del suo tempo; in secondo luogo nella sistematica trattazione aristotelica delle forme del sapere dimostrativo, fondata sulla definizione di scienza come conoscenza della causa e della necessità delle conclusioni. Nel suo significato attuale, la filosofia della scienza può essere fatta risalire al dibattito sul metodo che ha coinvolto i massimi protagonisti della rivoluzione scientifica, e segnato – in concomitanza con i profondi mutamenti concettuali e sperimentali delle scienze – la riflessione gnoseologica moderna, dalla riforma empiristico-induttiva di F. Bacone ai procedimenti galileiani e newtoniani d’indagine matematica dei fenomeni fisici, dalla riflessione cartesiana sul ruolo euristico e dimostrativo dell’analisi alla dottrina kantiana della struttura categoriale dell’intelletto e dell’idealità trascendentale degli oggetti dell’esperienza. Con il Cours de philosophie positive (1830-42; trad. it. Corso di filosofia positiva) di Comte, il Philosophy of inductive sciences (1840) di Whewell e il System of logic rationative and inductive (1843, trad. it., Sistema di logica deduttiva e induttiva) di Mill ha inizio il processo di autonomizzazione dello studio delle problematiche generali del metodo scientifico, indotto dal progressivo frammentarsi di molti dei tradizionali ambiti di ricerca di pertinenza filosofica nelle singole scienze – sorte dalla ristrutturazione illuministica e positivistica dell’enciclopedia del sapere – e sollecitato, a cavallo tra Otto e Novecento, dai rivolgimenti teorici irreversibili in vasti settori della ricerca matematica, logica e fisica.


Citazioni dal libro:
  • La scienza è certa solo di non aver certezze:
    «Ciò che oggi chiamiamo “conoscenze scientifiche” è un corpo di affermazioni a diversi livelli di certezza. Alcune sono estremamente incerte, altre quasi sicure, nessuna certa del tutto. Noi scienziati ci siamo abituati, sappiamo che è possibile vivere senza sapere le risposte. Mi sento dire: “Come fai a vivere senza sapere?”. Non capisco cosa intendano. Io vivo sempre senza risposte. È facile. Quello che voglio sapere è come si arriva alla conoscenza.» (pag. 36-37).
  • La scienza non riconosce autorità (e ricordo che a dirlo è uno che diventerà premio Nobel di lì a due anni):
    «non c’è un’autorità che decida quale idea sia buona e quale no: non abbiamo più bisogno di verità rivelate. Possiamo consultare il luminare di turno e chiedergli di illustrarci il suo punto di vista, e poi fare gli esperimenti del caso e scoprire se quel che dice è vero oppure no. Se non è vero, peggio per lui: è così che le “autorità” perdono un po’ della loro “autorità”.» (pag. 30-31).
  • Le idee non hanno padroni:
    «Molti si stupiscono che nel mondo scientifico si dia così poca importanza al prestigio o alle motivazioni di chi illustra una certa idea. La si ascolta, e se sembra qualcosa che valga la pena di verificare – nel senso che è un’idea diversa, e non banalmente in contrasto con qualche risultato precedente – allora sì che diventa divertente. Che importa quanto ha studiato quel tizio, o perché vuole essere ascoltato?» (pag. 31-32).
  • Dunque val la pena indagare qualunque idea purché rivoluzionaria? Beh, non proprio questo perché il metodo scientifico:
    «[…] si basa sul principio che l’osservazione è il giudice ultimo di come stanno le cose. Quando si capisce che solo l’osservazione può dimostrare la verità di un’ipotesi, ogni altro aspetto e caratteristica della scienza diventa immediatamente comprensibile. In questo contesto “dimostrare” significa “verificare”, o “controllare” […]»  (pag. 25).
  • Una mente aperta coltiva il dubbio ma questo non implica considerare che ciò che è possibile sia necessariamente probabile:
    «Mi è capitato di parlare di dischi volanti in spiaggia con delle persone, e la cosa che ho trovato interessante è questa: continuano a dire che è possibile. Ed è vero: è possibile. Ma il problema – ed è questo che la gente si ostina a non capire – è un altro […]: non si tratta di decidere cosa sia teoricamente possibile, ma di cercare di capire cosa è probabile, che cosa sta succedendo. Non serve dimostrare ogni volta che non si può essere sicuri al cento per cento che lo strano oggetto lassù non sia un disco volante. Quello che dobbiamo fare è cercare di prevedere se dovremo o no preoccuparci di un’invasione marziana, se quello è un disco volante, se è ragionevole che lo sia. E tutto questo in base ai dati dell’esperienza, una cosa ben più impegnativa che dire semplicemente se è possibile o meno. In genere la gente non ha una percezione chiara del numero di cose possibili. E quindi non ha chiaro nemmeno il numero di cose possibili che tuttavia non stanno accadendo, né il fatto che è impossibile che tutte le cose possibili accadano. Ce n’è una tale varietà che molto probabilmente la stragrande maggioranza delle cose che vi vengono in mente come possibili sono fasulle.» (pag. 82-83).

Etica


Etica e morale

Termine introdotto da Aristotele per designare le sue trattazioni di filosofia della pratica; indica quella parte della filosofia che si occupa del costume, ossia del comportamento umano. 
Salvo che in alcuni filosofi (per es., in Hegel), etica è sinonimo di morale, in quanto i due termini si riferiscono alla disciplina che si occupa del «Costume». In senso ampio, l’etica può essere intesa come quel ramo della filosofia che si occupa di qualsiasi forma di comportamento umano, politico, giuridico o morale; in senso stretto, invece, l’etica va distinta sia dalla politica sia dal diritto, in quanto ramo della filosofia che si occupa più specificamente della sfera delle azioni buone o cattive e non già di quelle giuridicamente permesse o proibite o di quelle politicamente più adeguate.