mercoledì 12 giugno 2019

Scienza

Topolino in camice da scienziato: gli eroi Disney sono i protagonisti degli albi di «Scienza papera»

Espressione con la quale comunemente si indica l’ambito della ricerca filosofica che ha per oggetto la riflessione critica sulla natura, le metodologie e le implicazioni culturali, politiche, morali, religiose, ecc. delle diverse discipline scientifiche. In quanto indagine sulla natura e sui limiti del metodo scientifico, la filosofia della scienza trova le sue origini nel pensiero greco: in primo luogo nella determinazione logico-ontologica operata da Platone dei caratteri rispettivi dell’ἐπιστήμη e della τέχνη, contrapposte alla δόξα, e nel confronto da egli istituito tra la dialettica e le procedure epistemiche proprie della matematica e della medicina del suo tempo; in secondo luogo nella sistematica trattazione aristotelica delle forme del sapere dimostrativo, fondata sulla definizione di scienza come conoscenza della causa e della necessità delle conclusioni. Nel suo significato attuale, la filosofia della scienza può essere fatta risalire al dibattito sul metodo che ha coinvolto i massimi protagonisti della rivoluzione scientifica, e segnato – in concomitanza con i profondi mutamenti concettuali e sperimentali delle scienze – la riflessione gnoseologica moderna, dalla riforma empiristico-induttiva di F. Bacone ai procedimenti galileiani e newtoniani d’indagine matematica dei fenomeni fisici, dalla riflessione cartesiana sul ruolo euristico e dimostrativo dell’analisi alla dottrina kantiana della struttura categoriale dell’intelletto e dell’idealità trascendentale degli oggetti dell’esperienza. Con il Cours de philosophie positive (1830-42; trad. it. Corso di filosofia positiva) di Comte, il Philosophy of inductive sciences (1840) di Whewell e il System of logic rationative and inductive (1843, trad. it., Sistema di logica deduttiva e induttiva) di Mill ha inizio il processo di autonomizzazione dello studio delle problematiche generali del metodo scientifico, indotto dal progressivo frammentarsi di molti dei tradizionali ambiti di ricerca di pertinenza filosofica nelle singole scienze – sorte dalla ristrutturazione illuministica e positivistica dell’enciclopedia del sapere – e sollecitato, a cavallo tra Otto e Novecento, dai rivolgimenti teorici irreversibili in vasti settori della ricerca matematica, logica e fisica.


Citazioni dal libro:
  • La scienza è certa solo di non aver certezze:
    «Ciò che oggi chiamiamo “conoscenze scientifiche” è un corpo di affermazioni a diversi livelli di certezza. Alcune sono estremamente incerte, altre quasi sicure, nessuna certa del tutto. Noi scienziati ci siamo abituati, sappiamo che è possibile vivere senza sapere le risposte. Mi sento dire: “Come fai a vivere senza sapere?”. Non capisco cosa intendano. Io vivo sempre senza risposte. È facile. Quello che voglio sapere è come si arriva alla conoscenza.» (pag. 36-37).
  • La scienza non riconosce autorità (e ricordo che a dirlo è uno che diventerà premio Nobel di lì a due anni):
    «non c’è un’autorità che decida quale idea sia buona e quale no: non abbiamo più bisogno di verità rivelate. Possiamo consultare il luminare di turno e chiedergli di illustrarci il suo punto di vista, e poi fare gli esperimenti del caso e scoprire se quel che dice è vero oppure no. Se non è vero, peggio per lui: è così che le “autorità” perdono un po’ della loro “autorità”.» (pag. 30-31).
  • Le idee non hanno padroni:
    «Molti si stupiscono che nel mondo scientifico si dia così poca importanza al prestigio o alle motivazioni di chi illustra una certa idea. La si ascolta, e se sembra qualcosa che valga la pena di verificare – nel senso che è un’idea diversa, e non banalmente in contrasto con qualche risultato precedente – allora sì che diventa divertente. Che importa quanto ha studiato quel tizio, o perché vuole essere ascoltato?» (pag. 31-32).
  • Dunque val la pena indagare qualunque idea purché rivoluzionaria? Beh, non proprio questo perché il metodo scientifico:
    «[…] si basa sul principio che l’osservazione è il giudice ultimo di come stanno le cose. Quando si capisce che solo l’osservazione può dimostrare la verità di un’ipotesi, ogni altro aspetto e caratteristica della scienza diventa immediatamente comprensibile. In questo contesto “dimostrare” significa “verificare”, o “controllare” […]»  (pag. 25).
  • Una mente aperta coltiva il dubbio ma questo non implica considerare che ciò che è possibile sia necessariamente probabile:
    «Mi è capitato di parlare di dischi volanti in spiaggia con delle persone, e la cosa che ho trovato interessante è questa: continuano a dire che è possibile. Ed è vero: è possibile. Ma il problema – ed è questo che la gente si ostina a non capire – è un altro […]: non si tratta di decidere cosa sia teoricamente possibile, ma di cercare di capire cosa è probabile, che cosa sta succedendo. Non serve dimostrare ogni volta che non si può essere sicuri al cento per cento che lo strano oggetto lassù non sia un disco volante. Quello che dobbiamo fare è cercare di prevedere se dovremo o no preoccuparci di un’invasione marziana, se quello è un disco volante, se è ragionevole che lo sia. E tutto questo in base ai dati dell’esperienza, una cosa ben più impegnativa che dire semplicemente se è possibile o meno. In genere la gente non ha una percezione chiara del numero di cose possibili. E quindi non ha chiaro nemmeno il numero di cose possibili che tuttavia non stanno accadendo, né il fatto che è impossibile che tutte le cose possibili accadano. Ce n’è una tale varietà che molto probabilmente la stragrande maggioranza delle cose che vi vengono in mente come possibili sono fasulle.» (pag. 82-83).

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